venerdì 22 luglio 2011

Letteratura italiana II : Lezione I (2011)


                                                               LEZIONE I
<<La luce arriva anche attraverso il gobbo leopardi>>.     – Ciccuto       Ricevimento tutti i lunedì dalle 16 alle 16.30 Dipartimento degli studi italianistici.
Vi sono dei luoghi comuni diffusi nella critica semplicistica e riduzionista: la felicità,l’amore per l’illusione,  la morte, il compianto per se stessi, la critica verso il presente, il pessimismo, ecc.  In realtà non è questo l’argomento. E’ molto di più. Sarebbe bastato a riguardo leggere lo “Zibaldone”, ovvero
-una raccolta di pensieri protratta per l’intero arco dell’esistenza di Leopardi, che costituisce il serbatoio di riferimenti sul quale il poeta ha basato il proprio universo poetico; scritto tra il 1817 e il 1832-
Va anche detto che c’è una differenza sostanziale tra Zibaldone e canti.. (oltre che uno è in prosa e l’altro in poesia). : lo zibaldone era un diario privatissimo, non destinato ad essere pubblicato, invece i Canti erano stati fatti per essere pubblicati. Inoltre si può anche dire che l’arco di attività di leopardi è brevissimo, non dura più di vent’anni. E’ un periodo molto concentrato (canti, Zibaldone, Operette Morali,ecc).  Il fatto che Leopardi sia diventato un classico della letteratura ci costringe a     fare una sorta di lavoro alla moviola, per vedere come questi testi sono diventati così, ovvero vedere il loro dialogo con la classicità e la contemporaneità. Questo ci permette di sostenere che leopardi non ha mai scritto un unico libro, ma ha cercato di raccogliere e sistematizzare tutti i suoi componimenti in un opera che è cresciuta parallelamente con lui. Noi entreremo nell’officina di leopardi, cercando il perché di ciò che è scritto. E’ utilissimo infatti capire come sia possibile produrre un classico (capire la genetica) in rapporto anche all’utilissimo Zibaldone. Dobbiamo  in più focalizzarci sulla produzione giovanile di Leopardi, vale a dire agli anni compresi tra il 1809 e il 1817. In questi anni si afferma un giovane impegnato in una attività di traduttore, filologo e non ancora di poeta. Sono questi anni di formazione caratterizzati dagli studi classici di un ragazzo di buona famiglia, di nobile famiglia (famiglia nobile decaduta). Si tratta di una formazione di un giovane che si impegna nello studiare le lingue antiche (latino), le scienze, e il pensiero religioso(teologia). È un periodo di studio che segnala tre tipi di attività: 1)attività di traduttore; 2) attività di letture erudite 3)attività dei primi tentativi di poesia.
L’attenzione di Leopardi si rivolge verso il latino (imposto dal corso di studi) e verso il greco (che leopardi studia da solo per scelta ed amore). Ed è questa seconda attività che forma la vocazione poetica di Giacomo(il guardare oltre la siepe). Tra i primi autori che traduce è Orazio Flacco (autore di grandissima fortuna nell’Arcadia 800esca) e si può dire che Leopardi si dedichi alla traduzione delle Odii  e alla Ars poetica di Orazio. Oltre a queste attività leopardi ci ha lasciato una serie di dissertazioni filosofiche (narrazioni di taglio filosofico- 23 in tutto). Queste sono di vario argomento: metafisico, logico, teologico. In questi anni scrive anche due tragedie : la Virtù indiana (l’imperatore viene ucciso ed è sostituito dal suo figlio) e Pompeo in Egitto (riguarda l fuga di Pompeo dopo la battaglia di Farsalo, che si conclude sotto Tolomeo, il quale  fa assassinare Pompeo- riguarda il problema del consenso politico). Nello Zibaldone, nel 1821, Leopardi stende un appunto autobiografico dove dice che la sua formazione lo aveva portato verso lo studio delle lingue e della filologia antica da cui scaturiva un certo qual disprezzo o rifiuto della poesia. Situazione che si modificò dopo la lettura di un buon numero di poeti greci. Secondo Leopardi nella poesia greca si riconosce un vigore di immaginazione superiore a quello reperibile nella tradizione latina. Ma certo questo piccolo passo dello Zibaldone ci dice che il giovane sembra trovare un piccolo spazio di libertà, un esercizio personale e non controllato fuori dagli indirizzi costrittivi della tradizione ……. L’incontro con i greci è databile fino al 1813. Gli autori greci sono Mosco, Esiodo, Anacreonte, Archiloco (i lirici), Omero (sia l’Omero maggiore che minore). Ma anche la “batrokoniomachia” (battaglia dei rospi – sempre di omero) al quale Leopardi dedica vari anni di studio. A pochi mesi della morte dedicherà a questa opera classica una delle sue opere più complesse : I Paralipomeni della batrokomiomachia (commento, introduzione alla batrokomiomachia di Omero). A fianco delle traduzioni leopardiane abbiamo lavori filologici come commenti ad alcune opere di Esichio. Pubblica una traduzione della vita di Plotino e studia anche padri della chiesa come Gerolamo e Giulio l’africano. E’ bene ricordarsi che Leopardi scegli da solo testi nella biblioteca del padre. Quindi esplora e cerca.  Il lavoro di cura filologica sui testi greci è l’inizio dell’amore per la poesia. Quando leopardi traduce Mosco (allievo di Aristarco) nota che la sua poesia, proprio perchè nasce da un poeta civilizzato, che non è stato corrotto dai vizi cittadini, non è <<serva dell’arte>> intendendo per arte “l’artificio, la falsità” e ci scrive  <<la poesia di Mosco non è serva dell’arte, anzi viene ad assidersi affianco della natura e la lascia comparire in tutto il suo splendore>>. Detto in breve la poesia di <Mosco non è un artificio che allontana l’uomo dalla natura e quindi dalla realtà; anzi, proprio perché  è lontana dai vizi dell’artificio, tale poesia è vicina alla realtà, è una poesia in contatto diretto con la natura. Un discorso analogo Leopardi lo fa con Omero; Omero è identificato con una sorta di stato primitivo dell’uomo, in cui si riconoscono contemporaneamente la natura e la condizione infantile dell’uomo (l’infanzia); e questa è la ragione per cui Leopardi scegli di dedicarsi soltanto all’Odissea, poiché se si fosse dedicato all’Iliade, avrebbe dovuto confrontarsi con quella poesia artificiale che aveva ottenuto fortuna di Vincenzo Monti. Leopardi quindi con la poesia greca va in cerca di ciò che non è corrotto dal troppo artificio. La traduzione del primo canto e di metà del secondo dell’Odissea viene anche pubblicato da Leopardi, ed è una delle prime pubblicazioni che segnala l’autore nel panorama del tempo. L’anno dopo, nel 1817, leopardi traduce Esiodo, la Titanomachia, la quale viene scelta intenzionalmente da Leopardi perché <<è opera sorta quando il poeta nella natura fresca, vergine, intatta, vedendo tutto con gli occhi propri, non s’affannando a cercar novità, che tutto era nuovo, creando senza pensassero le regole dell’arte, cantava cose divine ed eternamente durature>>. E’ un periodo molti denso; un poeta come Esiodo era come dire il poeta nella natura, calato nella natura, a contatto con questa; natura non corrotta da nessuno. Natura che Esiodo vede con occhio propri, non con la mediazione di un testo o di una filosofia; bensì in maniera diretta e fresca. Questi poeti non avevano bisogni di cercare qualcosa di nuovo che si distinguesse da ciò che era prima; quindi questi poeti sono come vergini, e tutto era novità, vergine, fresco, e semplice. In più creavano senza riflettere e costruire delle regole da rispettare (una retorica, canoni per la poesia).  Dunque è chiaro che cosa rappresentano i poeti arcaici greci per Leopardi; sono i testimoni di un’epoca privilegiata, un’epoca in cui l’uomo è in unione completa e perfetta con la natura (non è separato dalla natura); anzi gli uomini e i poeti sono essi stessi una seconda natura, dove l’immaginazione è tutto, è al massimo della sua manifestazione ed espressione e dove l’artificio, la tecnica, la retorica non hanno luogo. E’ uno spazio di piena liberta e libera pienezza. Si potrebbe dire che i poeti greci sono i protagonisti di una”fase ingenua” del mondo, e quindi di una poesia candida, semplice, non artefatta, che leopardi contrappone con la poesia romantica, anche se lui sa benissimo che questa poesia non potrà mai ricomparire. I poeti usavano parole che erano anche cose, erano ingenue, naturali; poi è avvenuto che il progresso, l’uso della parola hanno allontanato sempre più le parole dai concetti e gli hanno trasformati in segni arbitrari (in convenzioni). In più l’amore di Leopardi per l’amore della lingua greca lo porta anche a fare degli sfacelli assieme al padre, il quale si occupava solo di latino. Assieme a quello fa dei lavori di composizione che spacci per antichi (faceva dei falsi antichi greci). Nel 1826 presenta due odii greche ispirate ad Anacreonte che dice di aver ricevuto da un amico e che non riesce a tradurre in versi italiani. In effetti è un po’ difficile tradurre quelle due odii poiché sono troppo dense di inflessioni greche che è praticamente impossibile trasportarle in italiano. Ma è evidente che Leopardi sì divertiva facendo questo.  In più aveva anche un gusto per le scritture apocrife (la scrittura che produce la falsità, le parole che allontanano l’uomo da se stesso e dalla sua naturalità). Esperimenti apocrifi li farà  nelle Operette Morali : il  “Cantico del gallo silvestre” e “frammento apocrifo di Stratone di Lassaco”. Dopo molti anni in una pagina dello Zibaldone leopardi dirà che il piacere prodotto dalla lettura di Anacreonte è come quello di un’aura odorifera ed è impossibile analizzare questo profumo e piacere. Leopardi si interroga su cosa sia la parola e se questa è un prodotto autentico o se è soltanto un artificio; questo porterà alla gigantesca discussione intorno alla differenza che c’è tra “parole” (sono quelle della poesia -libere)e “termini”  (sono quelli della scienza -codificate)

LEZIONE II
Eravamo rimasti alla formazione erudita di Leopardi. Si può dire che l’attività del padre consistesse nell’acquistare libri a distanza; perché a distanza? era successo un fatto importante dal punto di vista del commercio librario, e cioè, dopo la rivoluzione francese, negli anni intorno al 15 molti beni ecclesiastici erano stati incamerati e messi in vendita. Quindi le biblioteche privare dei preti, di molti cardinali e vescovi erano stati immessi nel mercato (una quantità enorme a confronto con la domanda del mercato). Questo spiega la presenza di testi che poco hanno a che fare con la cultura specifica dei due personaggi come testi di ornitologia, di botanica, di viaggi, o raccolti di laudii). Va anche detto che avendo molti tempo a disposizione Giacomo era ben disposto a leggere queste diverse cose. Dunque si spiega anche in parte che il giovane trovasse nei classici latini e greci la possibilità di coltivarsi senza annoiarsi troppo, visto che il latino gli veniva impartito a forza, e d’altro canto il greco diventava uno strumento per aprirsi a mondi nuovi e sconosciuti. E’ attraverso la lettura dei testi che Leopardi entra in contatto col mondo antico; non è un personaggio che ha viaggiato; quindi ha una serie di filtri totalmente culturalizzati per poter conoscere il passato; questo significa un’ottica deformata del passato. Venne naturale a Leopardi immaginare che la poesia arcaica, greca antica, fosse una poesia in contatto diretto con la realtà, che fosse l’espressione di sentimenti autentici e non inquinati, non artificiosi; e questa poesia fosse anche l’espressione più intensa e pura dell’immaginazione. Nel 1815, l’anno in cui studia più appassionatamente i classici, Leopardi scrive un saggio (tutto quello prima del 15 è traduzione o brevi opera teatrali) col none “Saggio sopra gli errori popolari degli antichi”, che è un esempio molto vistoso della trasformazione che sta avvenendo per Leopardi., perché il saggio nelle intenzioni viene scritto seguendo i precetti del cattolicesimo di Monaldo >(cattolicesimo paterno); per cui gli errori degli antichi sono quelli che dimostrano la debolezza umana prima dell’arrivo della civiltà, prima dell’imporsi della civilizzazione. Gli antichi altro non sono che barbari, poco dotti, selvaggi, e soprattutto lontani dalla verità. Scrive ad esordio <<il mondo è pieno di errori e prima cura dell’uomo deve essere quella di conoscere il vero>>, emergono cioè subito due concetti : l’errore e la verità, i quali percorreranno l’intera opera leopardiana e reggeranno l’impianto concettuale di tutta l’opera; sono due concetti contrapposti : gli errori sono i sogni, le illusioni, l’attività fantastica, le immagini, che si contrappongono alla verità, al vero, alla ragione, ai prodotti dell’intelletto razionale. Gli antichi erano dediti ai sogni (attività immaginativa), i moderni, che posseggono la verità perché usano la ragione, sono orientati ad indagare la realtà tramite un’analisi scientifica,esatta. Questa posizione è abbastanza sorprendente poiché Leopardi sembra esaltare proprio la posizione dei moderni, ovvero degli illuministi, dei seguaci della ragione, perché dice << chi è che sogna, sono i bambini, e quindi è una condizione infantile quella di chi si abbandona alle illusione, ai sogni; e questi sogni devono essere debellati, combattuti,  cancellati>>  tramite l’attività della ragione tipica degli adulti, i civilizzati, i razionali. Quindi il saggio indica tutti quei pregiudizi che fanno parte delle culture popolari antiche e moderne, e quindi i miti, gli eroi, ecc, tutte quelle creazioni immaginative che l’uomo moderno deve lasciare dietro di sé per eleggere l’attività dell’intelletto e della ragione. Questa è proprio la posizione opposta di quella che Leopardi svilupperà poco dopo il 15, intorno al 19. Passano pochi anni e questo pensiero verrà capovolto. Quando compone le prime canzoni e i primi idilli si vede che l’immaginazione e l’illusione vengono caricati di un valore positivo rispetto proprio alla ragione, che invece inizia ad essere considerata come uno strumento che conduce l’uomo lontano dalla verità. E’ così che tutti gli esempi che ha portato nel saggio sopra gli errori popolari degli antichi (gi dei, gli oracoli, gli eroi, i fenomeni naturali fantastici e meravigliosi) serviranno in seguito come materiale per i canti e gli idilli, , e ancora di più nell’ampio materiale ragionativo che costituisce le Operette morali. Sì può leggere un breve esempio di come Leopardi cominci ad avvertire che nella natura sono presenti appunto dei fantasmi, delle presenze, delle immagini che nulla hanno a che fare con la conoscenza razionale, ovvero ci sono delle immagini, delle illusioni che stanno al di là delle apparenze e, che non si vedono e che solo l’immaginazione può cogliere. Vi leggo il brano meriggio preso dal saggio sugli errori popolari degli antichi << tutto brilla nella natura all’istante del meriggio (momento del demone dell’immaginazione che si scatenza- l’ora meridiana è l’ora durante la quale l’uomo si abbandona all’immaginazione) l’agricoltore che prende cibo e riposo, i buoi sdraiati e coperti d insetti volanti,, il gregge che si rannicchia sotto l’ombra, la lucertola che …, la cicale… la zanzara…. L’ape che vola incerta e si ferma su di un fiore e torna dove .. tutto è bello, tutto delicato e toccante e tutto sta dentro la natura (significa che al di là delle apparenze c’è qualcosa che sta dietro; atmosfera di perfetta armonia del creato dell’uomo con il mondo che costituisce la felicità) L’esperienza del mondo antico sta dunque diventando per leopardi l’esperienza di un rapporto originario e sincero, autentico con la natura, e questa natura si rivela non solo come qualcheccosa di esterno, superficiale, di percepibile con i sensi, ma anche e soprattutto come qualcosa di intimo e di privato, un “luogo interiore”, che ha grande importanza nell’età infantile durante la quale ogni uomo come gli antichi si sente in comunione con il mondo. Gli studi eruditi di Leopardi  pian piano diventano l’unico modo che ha il giovane recanatese di affrontare il pubblico, di aprirsi all’esterno, di farsi conoscere, in quanto aspirante giovane poeta. Le due traduzioni che fa nel 1816 e cioè’ il primo libro dell’Odissea e il secondo libro dell’Eneide vengono pubblicate sulla rivista milanese Lo Spettatore e sono effettivamente l’occasione che il giovane ha per uscire alla scoperto e rilevare le sue passioni; rivelare le sue passioni attraverso il suo amore per i classici. Alla fine dello stesso anno Leopardi compone anche una lunga cantica, cioè 878 versi divisi in 5 canti, una cantica che s’intitola “L’appressamento della morte”,  della quale Leopardi conserverà un frammento e lo trasformerà in una lirica autonoma nei Canti. L’ appressamento della morte è un poema allegorico di chiara impostazione dantesca; in esso un giovane poeta ventenne viene guidato da un angelo attraverso i regni dell’oltretomba con lo scopo di allontanare il giovane dai desideri terreni, dai pericoli o dai cosiddetti vizi. Questi desideri terreni sono personificati da mostri e sono in 5: Amore, avarizia, errore, Guerra e Tirannia; naturalmente l’angelo facendogli incontrare tali mostri (iconografie di estrazione antica), gli indica la via della virtù. Sembra che Leopardi stia cercando la sua strada; dirà nello Zibaldone che questa cantica segnò il passaggio da una condizione ingenua infantile a quella più sentimentale ed adulta e si potrebbe perfino dire che tutti i germi, tutti gli elementi della successiva poetica leopardiana sono già qui, in queste prime prove; poi naturalmente verranno ampliati e sviluppati. Leopardi sta meditando su se stesso e ce lo dicono due scritture in prosa, una del 1817 e una del 1819; sono scritture sostanzialmente autobiografiche e sono il luogo di passaggio verso la maturità e verso i testi più importanti. Nel 17 scrive il “Diario del primo amore”, mentre nel 19 scrive “Ricordi di infanzia e di adolescenza”; vedete già nel 19 ha uno sguardo retrospettivo verso l’infanzia, si sente già adulto. Il diario del 17 è scritto da Leopardi in occasione dell’incontro con Geltrude Cassi, una cugina di Monaldo, ventiseienne, quindi per l’epoca una vecchia babbiona, che trascorre 4 giorni a Recanati e fa innamorare di se il giovane, facendogli sperimentare una passione del tutto immaginaria. E’ importante perché queste pagine del diario sono scritte in tempo reale e c’è addirittura l’indicazione della data e dell’ora. E’ chiaro che a noi non interessa sapere che valore ha come testimonianza privata, bensì ci interessa perché veniamo a sapere come leopardi stia elaborando un linguaggio per esprimere i propri sentimenti, un linguaggio il più adatto nel rappresentare il meccanismo dei sensi e dell’immaginazione. Infatti il rapporto con la donna, oggetto dell’amore, avviene su due piani nettamente distinti in queste prose: Giacomo vede la donna - ne subisce il fascino - ma poi la sogna - la immagina - sente che talvolta l’immaginazione è anche più intensa di quei sentimenti che prova  vedendola. La trasfigurazione fantastica è più forte della visione diretta.  Viene fuori quel modo di pensare che ci sarà nello Zibaldone, ovvero la “rappresentazione dell’assenza”, che accompagna inevitabilmente il rapporto sensibile dell’uomo con le cose (non c’è mai il contatto diretto con l cosa) ed è questa sensazione che mette in contatto il finito e l’infinito. Abbiamo anche il ritratto della donna che ricorderà più avanti quando descriverà il volto della natura in una operatta morale “ Il dialogo della natura e di un islandese” e scrive infatti <<arrivò casa nostra una nostra parente di 26, alta e membruta di volto per niente grossolano; lineamenti tra i forte e il delicato, bel colore, .. maniere benigne e secondo me graziosa>> Ha una doppia sensazione che prova, una radicata nei sensi, superficiale, l’atra è un’impressione che riguarda l’immaginazione, infatti Leopardi nota che dopo essere andato a letto, che continua a sognare come un febbricitante e al risveglio ritrova le stesse idee non affievolite, bensì freschissimo ed indebolite. Fa anche un’analisi molto minuziosa di ciò che accade al suo interno (volendo riascoltare la voce della donna). Tutte le sensazioni che egli registra nel suo diario sono tratte da un testo letterario , cioè la vita di Alfieri.. Quest’esperienza è sfruttata per scrivere il canto “Il primo amore”, un testo ancora una volta calato all’interno di una tradizione letteraria, poiché scritto in un linguaggio petrarchesco. Attraverso la poesia Leopardi riesce a mettere a fuoco il meccanismo interiore che porta al predominio della donna immaginata rispetto alla donna reale che fa vincere il sogno rispetto alla realtà e che fa imporre nella sua vita “l’assenza” e non la “presenza”. <<oh come viva in mezzo alle tenebre sorgea la dolce imago e gli occhi chiusi la contemplavano sotto le palpebre >. Nelle pagine di questo diario la volontà di trattenere l’immagine e il ricordo della donna è così  forte che lo scrittore nei giorni successivi all’incontro di non voler più guardare al di fuori della finestra, non vuole nemmen guardare il volto di nessun altro, poiché vuole immaginare soltanto il volto di Geltrude, ma soprattutto per non cambiare <quella idea e immagine spirante e visibilissima che ho nella mente> )”imago spirans” è niente meno una citazione da Poliziano, vale a dire un’idea della retorica antica per cui le immagini create dai poeti che sembrano vive, che sono talmente ben fatta con l’arte retorica da sembrare vere, da sembrare spirante, questa è un’ulteriore incrostazione letteraria. Leopardi si contenta non solo del ricordo, ma anche di quella immagine che lui a scritta che sembra viva per la perfezione verbale, ma che in realtà non vive. Una volta composto il canto (Il primo Amore),le impressioni sono indebolite e si fa spazio quello che chiama “il vuoto nel cuore”, ovvero la malinconia, la coscienza dell’assenza. La malinconia era uno dei concetti che maggiormente erano stati studiati nel ‘700. Questa malinconia in Leopardi si accompagna ad una intensità di pensiero; scrive: <<sono contento di questo stadio di malinconia uguale uguale e di meditazione, non curante delle cose montane, dei disprezzi altrui, e il cuore più sensitivo, molle e poetico>. Il risultato della passione qual è quindi? Altezza di pensiero e sensibilità dell’animo. L’immagine della donna comincia a svanire dalla mente del ragazzo ne i tentativi per afferrarla diventano gesti concreti, diventano un modo di dire, e cioè; <<spontaneamente m’è passata d’inanzi alla fantasia la desiderata immagine vera e viva ove io immediatamente riscosso e scavalcati gli occhi, subito le sono corso dietro con la mente>; Il fenomeno più interessante è che la donna desiderata può improvvisamente ricomparire in sogno, ancora molto viva e altrettanto può improvvisamente sparire come un fantasma. Leopardi sperimenta l’alternarsi tra desiderio e nulla, immaginazione e memoria, presenza ed assenza, che sono poli concettuali che regoleranno la scrittura e l’ideazione di alcuni testi molto noti come “A Silvia” o “Alla sua donna”, dove vengono messi in scena donne concrete, un tempo in vita, trasformate in fantasmi, in esperienze immaginative. L’altro diario, quello del 19, che è stato intitolato “Ricordi di infanzia e di adolescenza”, è poco sistematico come testo e contiene appunti di ricordi di letture che presentano un altro tipo di sensazione. C’è una prima nota che indica già che tipo di personalità sta sviluppando <<pieghevolezza dell’ingenio, facilità di imitare> cioè indica le caratteristiche della sua intelligenza, ovvero duttilità e facilità di imitazioni (qualità molto simili a quelle di un traduttore). Ci sono anche dei autoritratti e ricordi di letture da Ariosto a Cicerone; ci sono pure dei brani di commento, ovvero commento a testi classici; particolarmente importanti sono passi che dedica al canto di Circe, che costituisce la base di a Silvia. Poi ci sono anche altri elementi che costituiranno i nuclei di altri Canti come la sceneggiatura di un dialogo tra leopardi e una fanciulla morta che verrà poi sviluppato in un idillio.  Affronta anche problemi filosofici, per esempio già qui Leopardi affronta il problema dell’immensità del cosmo confrontata alla piccolezza della natura; insomma il rapporto tra finito ed infinito a cui si accompagna il tema (di origine tipicamente settecentesca) della “pluralità dei mondi”, che come saprete è alla base di tutta la critica che Leopardi farà dell’antropocentrismo . Chiudo con <<Ecco mie considerazioni sulla pluralità dei mondi e il niente di noi e su questa terra; è sulla grandezza della natura che noi misuria.. globo che è un nullo nel mondo.. mi parve nulla la vita nostra, il nome dei grandi il tempo, l’intero mondo>

SCHEMA RIASSUNTIVO OPERE
1809-17: attività di studio, di traduttore e di amore per i classici (due tragedie)
1926: presenta due odi ispirate ad Anacreonte che dice di aver ricevuto da un amico e che non riesce a tradurre (attività di falsario)
1815: “Saggio sopra gli errori popolari degli antichi”; esaltazione della ragione illuminista e della contemporaneità
1816: traduce il primo canto dell’Odissea, il secondo dell’Eneide e la Titanomachia di Esiodo (pubblicati nella rivisto “Lo spettatore”) e scrive pure una cantica ad ispirazione dantesca (composta da V canti) nominata “L’Appressamento della morte”(nello Zibaldone dirà che con questa cantica egli è passato dall’età fanciullesca a quella adulta).
1817: il suo pensiero si capovolge e si ha l’esaltazione della classicità e dei sogni; Scrive in più l’opera “Diario del primo amore” (in onore dell’incontro con Geltrude Cassi – ella è rievocata e descritta nell’operetta morale “dialogo della natura e di un islandese” e soprattutto nel canto “il primo amore” nel quale scrive <<Sorgea la dolce imago e gli occhi chiusi la contemplavano sotto alle palpebre>>), scritto in “tempo reale con data e ora”. Viene fuori ciò che è contenuto anche nello zibaldone, ovvero la vittoria dell’immaginazione sulla realtà, e quindi la cosiddetta “rappresentazione dell’assenza”.
1919 : Ricordi di infanzia e di adolescenza
!918: Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica

1918-22: Canzoni (endecasillabi e settenari), hanno un contenuto
         a) patriottico-civile;        b)esistenziale (suicidio eroico ecc)
1819 : scrive “Ricordi di infanzia e di adolescenza”
1820: Zibaldone: Teoria del piacere
1819-21: Idilli (endecasillabi sciolti)
1824-32: Operette Morali (raccolta di ventiquattro componimenti in prosa divisi tra novelle e dialoghi, dallo stile molto ironico)
1828-30: Canti pisano-recanatesi (canzoni libere)
1830-37: Ciclo di Aspasia –Canzoni sepolcrali- Ultimi canti (canzoni libere)
1817-32 : Zibaldone


Ricordi di infanzia e di adolescenza
Stiamo parlando per il momento di alcune prose sparse di Leopardi; e in particolare di quelle autobiografiche che sono raccolte nel "Diario del primo amore " e nei "Ricordi di infanzia e adolescenza". All'interno di questo ultimo testo viene presentata l'anticipazione di molti temi che poi saranno presenti nelle opere maggiori. Per via paradossale potremmo dire che dopo il 19 sono stati fissati definitivamente i cardini della poetica leopardiana, e questi varieranno di poco. Vi ho detto come nel diario del 19 Leopardi apra i temi di critica dell'antropocentrismo, della critica contro il pensiero filosofico antico, il quale vedeva l'uomo al centro dell'universo; la dove invece si avvicina alle posizioni sensistiche e materialiste, in modo particolare al pensiero di Condi Hac, e sviluppa l'idea dell'infinità del cosmo (in contrapposizione con l'antropocentrismo) e dell'infinità dei mondi e delle esistenza. Dunque c'è dell'altro; ad esempio in questo diario del 19 Leopardi scrive in terza persona come se lo scrittore concepisse questi appunti nel momento stesso in cui viene stendendo loro, come elementi di un racconto, del racconto della vita di un personaggio al quale Leopardi presta le sue esperienze; sembra quindi che Leopardi sia già consapevole di mettere in scena una maschera di sè; inizia i suoi bisogni di proiettarsi in figure diverse da sè, bisogno che domina nei canti, nei quali l'autore avvolte è presente in prima persona, altre volte presenta un personaggio portatore delle sue stesse idee (Saffo, Bruto, pastore errante dell'asia). Altri temi che si affacciano in questo diario sono da ricondursi al rapporto tra giovinezza e primavera (importantissimo nella meditazione leopardiana); Leopardi sta preparando i materiali da sviluppare in un secondo momento e questo ce lo dice il modo grossolano e ancora poco raffinato (sono moltissimi gli eccetera, come se ègli fosse interessato soltanto a ricordare un tema tramite un'impressione per poi poterlo riprendere in momenti successivi per svilupparlo).
Nel luglio del 19 Leopardi compie 21 anni e allora baldanzoso della raggiunta maturità decide di fuggire da casa, e prepar anche due lettere per spiegare le sue ragioni della fuga (una per il fratello e una per il padre); viene riacciuffato subito (nei momenti preparativi della fuga). Questo episodio romanzesco può essere la ragione per cui alla fine di quell'anno Leopardi decide di raccogliere i ricordi della sua vita e di farne un'opera nuova, il cui protagonista medita continuamente e malinconicamente sulla morte, sulla base della lettura di due testi che vengono esplicitamente citati, ovvero il vertat di Goute e le ultime lettere di Iacob Ortis di Foscolo. resta un progetto, resta appunto questo diario, ma dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Se il 1817 è importante per le prime prove di poesia (di cui abbiamo già parlato), il 18 è l'anno del primo scritto impegnativo dal punto di vista critico-teorico, ed è l'anno durante il quale vengono scritte anche le prime due canzoni (all'italia e sopra il monumento di dante). Questo scritto si chiama "discorso di un italiano intorno alla poesia romantica", leopardi reagisce alla lettura di un articolo letterario scritto da Ludovico di Breme, il quale elogiava una novella di soggetto orientalistico di Lord Byron (il grande romantico inglese). Breme sostiene che gli scrittore dell'antichità hanno elaborato nelle loro opere alcune fantasie derivate <<da una balorda ammirazione nei confronti della vita inspiegabile della natura>>. A questi scrittori antichi il Breme contrappone gli scrittori moderni, le cui capacità razionali di analisi e conoscenza sono molto avanzate per cui non sono più legate a lavoro balordo ed inutile dell'immaginazione perchè puntano a conoscere quel vero infinito che tutto circonda. Sono cioè i moderni, secondo il Breme, orientati verso il vero, usando il sistema razionale dell'intelletto. Quindi è evidente che il Breme stia facendo un elogio alla poesia romantica che deve rappresentare le forze della natura in tutte le loro forme, a contrario della poesia antica che personificava tali forze, le trasfigurava fantasticamente (allontanandosi dal vero), rendendo tutti uguali e convenzionali i fenomeni della natura. Il discordo di Leopardi che parte dall'articolo di Breme è l'esatto ribaltamento delle posizioni espresse dal di Breme; intanto Leopardi sostiene la superiorità assoluta della condizione primitiva degli antichi (naturale ed infantile), superiorità rispetto alla civilizzazione e al mondo degli adulti. Secondo leopardi la poesia deve conservare un rapporto essenziale con il mondo dei sensi (un mondo primitivo e semplice, quello della "sensibilità naturale") anche se i romantici vorrebbero che fosse l'intelletto a prevalere e a dominare la poesia. Ne consegue che la poesia deve essere fatta per Leopardi di illusioni e degli inganni dell'immaginazione, delle mitografie, delle personificazioni (che Breme giudica superati,) poichè ogni lettore si mette nella posizione del fanciullo, poichè vuole immaginare, tornare bimbo, esploratore di immagini fantasmatiche ed immaginative. Bisogna abbandonarsi <<al delirio dell'immaginazione>>. Certo Leopardi non nega che la conoscenza dei moderni rispetto a quella degli antichi sia molto più progredita, però riconosce che il progresso ci ha cambiato (ha cambiato il genere umano), ovvero non vediamo più la natura con gli stessi occhi degli antichi; è proprio il progresso e la ragione ad impedirci di conoscere veramente la natura,la quale <<non si manifesta, bensì si nasconde>>; e quindi diventa necessario per Leopardi esplorare i segreti della natura. Gli antichi proprio grazie al loro rapporto immaginativo con la natura conoscevano la natura spontaneamente, senza mediazioni. La natura si lasciava ammirare spontaneamente. La natura infatti è immutabile e non deve essere vista continuamente; è sempre stata la stessa, ecco perchè il poeta si deve rimettere nella condizione dell'uomo primitivo attraverso l'immaginazione e questo è possibilissimo perchè quello che furono gli antichi siamo stati noi tutti. Ogni uomo ho vissuto i piaceri, le paure prodotte dalla produzione della fantasia (la fanciullezza, la primavera del mondo verranno rappresentati proprio nella canzona "la primavera").Quindi diciamo che questa inclinazione al primitivo è il fondamento della critica leopardiana al romanticismo e al pensiero dei romantici, secondo un ragionamento che nella prospettiva leopardiana è perfettamente logico: la natura produce piaceri ed illusioni nel mondo primitivo, la fanciullezza di ogniuno di noi è il ripresentarsi di quello stato primitivo, le fantasie della fanciullezza sono quindi le stesse identiche fantasie degli antichi, e il poeta deve semplicemente imitare la natura, riprodurre cioè la natura, riprodurre i piaceri e le illusioni. Tale pensiero è stato condensato da Leopardi da una espressione <<il poeta deve illudere e illudendo imitare la natura e imitando la natura dilettare>> (è il dono della poesia leopardiana). Da qui deriva l'accanimento di Leopardi contro i romantici. <<Nella fantasia dei romantici fa molto più caso un muro che non la luna su di un lago o in un bosco, più l'eco e il rimbombo di un appartamento solitario, che non il muggito dei buoi nei campi>>; quindi la poesia ha il dovere di trasportarci nei tempi primitivi, a contato con il dato naturale. E' naturale che una volta tracciato questo percorso Leopardi deve affrontare il discorso sugli oggetti e le tecniche dell'imitazione. Secondo Leopardi pur di stupire il pubblico si sono rivolti ad oggetti strani, a situazioni eccessive, agli orrori, ai misfatti, all'incredibile all'eccesso), mentre gli antichi imitavano le cose semplici, il quotidiano e non cercavano effetti esagerati per attirare l'attenzione; quindi il vero poeta contemporaneo per Leopardi deve cercare di ritrovare le cose antiche, e soprattutto deve liberare la mente dei suoi lettori da idee contrarie a quelle naturali (la funzione pedagogica della poesia: riconquista del proprio personale stato di natura). Diciamo che rispetto alle complicazioni dei romantici Leopardi propone un "sentimentalismo naturale, sempllice", quello di Omero << Omero rappresentava una notte chiara e pensosa illuminata dalla natura e creava già uno spettacolo sentimentale>> in altre parole il sentimentale è gia nella natura e i poeti antichi lo esprimevano descrivendo la natura. Scrive Leopardi : <<La sensibilità dei romantici altro non è un miscuglio di rimembranze di detti di farsi letti o sentiti; mentre la sensibilità è semplice e dolcissima, sovrumana e fanciullesca, madre di grandi diletti e madre di grandi affanni>>. Leopardi riprende l'abilità dei bambini di dare vita all'inanimato, di antroporfizzare il dato naturale (lavoro semplice e diretto).In modo un po' inaspettato il discorso di un italiano sopra a poesia dei romantici si chiude con un'esortazione ai giovani italiani perchè mino la propria patria, le difendano dalla barbarie, poichè nei giovani italiani la presenza della natura è più viva che nei popoli del nord (i romantici); quindi esorta i suoi lettori alla difesa della patria in nome della natura che rinchiude.
Dopo aver scritto questo discorso sulla poesia romantica (non pubblicato) e dopo aver composto le prime due canzoni.. interviene la fuga da casa e nell'autunno del 19 siamo in una f ase talmente matura di pensiero che leopardi scrive il primo degli Idilli : L'infinito. Leopardi indicherà nella pagine dello ZIbaldone come il periodo della sua mutazione, che significa il passaggio dalla poesia alla filosofia. Un pensiero dello Zibaldone: <<nella carriera poetica il mio spirito ha percorso lo stesso stadio che lo spirito umano in generale>> (quindi dalla poesia ingenua passa alla filosofia come allontanamento dalla stato felice); è il passaggio dallo stato "antico" a quello "moderno". Ha infatti un problema agli occhi che lo costringe a meditare in solitario...(si allontana dagli antichi per avvicinarsi ai moderni). E' leopardi stesso a dire che l'immaginazione in lui comincia ad affievolirsi; Leopardi quindi prova sui se stesso quel discorso che ha delineato nella saggio sulla poesia romantica (dalle illusioni antiche alla razionalità matura che allontana dalla illusioni e dai piaceri). "poeta" e "filosofo" sono i due concetti che leopardi userà per descrivere il proprio rapporto con la vita e il mondo. Nel luglio del 1820 noi sappiamo che leopardi scrive un grosso nucleo di pensieri nello zibaldone ed è come una sezione autonoma dedicata ad un unico argomento, quella che si usa chiamare "la Teoria del piacere". L'idea di piacere che è teorizzata da leopardi viene dal pensiero materialistico di Montesquieau, quindi quando si parla di piacere si deve intendere il "piacere dei sensi", il piacere "fisico" non intellettuale, poichè solo in un secondo momento diventa un concetto ideale ed astratto. Vedremo infatti quando leggeremo i canti che le sensazioni enunciate dal poeta sono quasi esclusivamente legate al senso della vista e al senso dell'udito (puramenete sensibile). Nello Zibaldone, nella sezione della teoria dl piacere, c'è una pagina che esordisce considerando che l'insufficenza dei piaceri riempie l'animo umano; l'animo umano è naturalmente proteso alla ricerca del piacere. cito <<l'anima umana e così tutti gli esseri viventi, desidera sempre essenzialmente  e mira sempre al piacere, ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt'un col piacere>>.. subito dopo aggiunge che il desiderio del piacere non ha limiti, è illimitato, non ha mai termine nel soddisfacimento di questo e quel piacere, ma è una tensione infinita, e termina solo con la fine della vita. Quindi ogni piacere è sì circoscritto, ma "il piacere" è infinito e quello che l'anima desidera sopra ogni cosa è il soddisfamento di tale desiderio infinito; e quello che riesce a soddisfare è il pacere delimitato, momentaneo, individualizzato.... Il soddisfacimento di qualche piccolo piacere non pota quindi alla felicità dell'uomo (la felicità è appagare il desiderio infinito); e perciò dice ceh <<tutti i piaceri devono essere misti di dolore, poichè l'anima, nell'ottenerli, prova quel desiderio di debellare il desiderio assoluto ..>>. Leopardi si distanzia da mltissimo teologi del 800, poichè i pensatori del materialismo il dolore altro non era che mancanza di piacere. Per LEopardi viene in soccorso l'immaginazione, la quale compensa l'impossibilità del piacere totale, creando piaceri che non esistono, fingendo la possibilità di piaceri assoluti; <<il piacere infinito che non si può trovare nella realtà, si trova così enll'immaginazione, dalla quale derivano la speranza, le illusioni e tutto ciò che ci fa vivere>>

Affrontiamo la teoria del piacere: il concetto di piacere è uno sei concetti cardine dell’estetica di leopardi. Vi ho detto che piacere e dispiacere , piacere e dolore sono due facce di un’identica condizione, la condizione dell’uomo teso per natura verso la conquista della felicità. Vi ho anche detto che il desiderio del piacere è un desiderio infinito e pertanto disperante per la condizione umana, poiché non è rapportabile alle misure del vivere umano; il vivere umano è misurato registrato solo attorno alla conquista e alla soddisfazione di piacere limitati nel tempo e nello spazio, per cui la vita dell’uomo può essere caratterizzata dalla conquista di singoli piaceri, ma mai dalla cosiddetta “conquista del piacere”, ovvero “conquista della felicità” (impossibile: solo una felicità parziale). C’è una possibilità, una ricompensa, un conforto, ovvero la possibilità di usare l’immaginazione, per poter conquistare quantità maggiori di piacere, per potersi cioè accostare in linea ideale (mentalmente) a quella felicità che altrimenti si sa irraggiungibile; infatti questa è una cognizione perfettamente stagliata nel pensiero di leopardi che scrive nello Zibaldone : <<il piaacere infinito (quindi la felicità irraggiungibile) che non si può trovare nella realtà si trova nella immaginazione dalla quale derivano, la speranza, le illusioni, ecc..cioè la felicità umana può esistere, ma solo nei prodotti dell’immaginazione>>, quindi solo nell’attività immaginativa dell’uomo; <<ciò che eleva l’uomo al di sopra della sua condizione mortale e misera è essere poeti>>. E questo per leopadi è anche il segnale vistoso della “miswericordia della natura nei confronti del pover uomo”. La natura quindi non potendo fornire la felicità all’uomo, allora rimedia, sovvienen, sostiene l’uomo con le illusioni, fornendogli la possibilità di illudersi, e anche offredno una varietà mmensa di piaceri, in modo che l’uomo possa passare da uno all’altro ed impiegare così’ laprorpia vita sfuggendo alla noia e alla morte. Il ruolo fondamentale decisivo dell’immaginazione della vita umana è costante in Leopardi. L’immaginazione è capace di rendere l’uomo tanto più felice tanto più potere esercita su di lui, quindi più usa l’immaginazione, più può essere felice. Per cui qual è l’epoca più felice per l’uomo?? L’infanzia, epoca in cui l’immaginazione è più potente e spigliate. Inoltre la natura, personificata, è anche molto sottile in questa sua concessione, dono verso l’uomo (rimedio all’infelicità) poihè ha fatto in modo che l’uomo non considerasse l’immaginazione una finzione, una fonte di inganno, ma anzi a fatto sì che l’uomo potesse considerare l’immaginazione come la sua vera autentica capacità di conoscere, come se fosse la cosa pi naturale cper l’uomo che vuole aprirsi al mondo. Immaginazione, conoscenza e sapere diventano la stessa cosa. Per cui quello che viene immaginato l’uomo lo considera reale, lo considera vero, e non un inganno dei sensi. La consegueunza di questi ragionamenti è la superiorità degli antichi sui moderni, poichè per gli antichi l’immaginazione era la fonte primaria della conoscenza; invece i moderni sanno che ciò che è creato dall’immaginazione è un’illusione (jna consapevolezza che allontana dalla felicità primitiva) <<la natura non voleva che sapessimo,e l’uomo primitivo non sa che nessun piacere lo può soddisfare >>. L’immaginazione da un’estensione incredibile alla vita e fa sì che l’uomo consegua il fine della vita, ovvero vivere (il fine della vita come fine naturale, imposto dalla natura). Altra conseguenza molto importante è la superiorità dell’idea di infinito per cui ci sono cose in natura <un filare, un viale di alberi di cui non si scopre la fine>> che sono piacevoli in sé, esattamente come sono piacevoli e poetiche quelle parole che evocano cose indefinite e vaste, o infinite, quelle parole che indicano cose prive di limite, come “notte”, “buio” ecc, e soprattutto piacevoli sono le parole vaghe e indefinite. E’ piacevole tutto ciò che contiene entro di sé quest’idea di infinitudine… L’anima dell’uomo prova tanto più piacere, tanta più felicità, quanto più entri in contatto con sensazioni vaghe e molli, indefinite; al contrario il dolore, il dispiacere, la noia vengono dall’immobilità e dall’esattezza, dalla definizione, dalla perfezione immobile; e la vita più felice è quella che vive di questa vaghezza. Scrive < l’animo occupato è distratto da quel desiderio innato che non lo lascerebbe in pace, o lo rivolge verso quei piccoli fini della giornata giacchè li considera come piaceri, essendo piacere tutto ciò che l’0anima desidera, e conseguito l’uno passa da un altro, è distratto dai piaceri maggiori e non ha tempo di affliggersi>>. C’è un altro concetto importnte sempre inerente alla teoria di piacere, ed è il concetto di “amor proprio”; il desiderio di piacere fa parte della nostra esistenza e non può sewrvire per dimostrare la spiritualità dell’anima; è un desiderio puramente materiale, non ha nulla a che vedere con l’anim del cristianesimo o dei platonici. La cosa più materiale che accomuna tutti gli essere viventi è l’amor proprio, cioè il desiderio di conservazione. Nell’uomo l’amor proprio è in rapporto con l’infelicità perché la vitalità di un individuo (il sentimento vitale, le passioni ecc) sono tanto più forti qaunto più forte è il senso dell’anor proprio e quindi  per questo individuo super semsibile,m super intelligente, appassionato, è più difficile soddisfare i propri desideri, poiché è bloccato dall’amor proprio. La sensibilità dell’uomo si modifica nel tempo, col progredire della cività dibenta sempre più raffinata, cresce quindi di conseguenza l’amor proprio, l’amore verso di sé e ne deriva <<l’uomo perfezionato è per essenza umana e per ordine generale della natura più infelice del naturale e tanto più quanto più è perfezionato>>(zibaldone); l’uomo civilizzato è quindi più sensibile e quindi destinato al maggior grado di infelicità a causa dell’amor proprio sviluppassimo. A riguardo affronteremo l’attività poetica del 1823, anno in cui si registra un nuovo modo di concepire il rapporto tra esistenza umana e ricerca del piacere, che diventano a quel punto completamente inconciliabili.
Dunque possiamo una volta fissati questi elementi, possiamo vedere che cosa fermenta sullo scrittoio di Leopardi nei primi anni della sua maturità creativa, e cioè intorno al 17-18, poiché tra il 18 e il 20 leopardi scrive le prime canzoni; sono gi anni in cui si apre la carriera ufficiale di Leopardi dopo che il giovane ha incontrato per la prima volta Pietro Giordani, che è letterato e uomo politico di alto profilo. In pochi giorni scrive prima la canzone “All’italia” e subito dopo “Sopra il monumento di Dante”. Queste due canzoni vengono subito inviate al Giordani che in en che non si dica le fa stampare a Roma alla fine del 18 con una dedica ad un altro personaggio famosissimo, “Vincenzo Monti”. All’inizio del 19 Giordani scrive a Leopardi dicendogli che le canzoni girano per Roma <<come fuoco elettrico, tutte le vogliono, tutti sono invasati>>. Nel febbraio del 20 leopardi compone una terza canzone che è indirizzata ad un erudito bergamasco filologo gesuita Angelo Mai che aveva scoperto proprio in quei mesi niente meno che il “de republica” di Cicerone. La canzone è “Ad Angelo Mai quando ebbe trovato i libri di Ciceroni nella republica” . C’è una cosa che colpisce anche alla prima lettura di queste prime tre canzoni, che sono un insieme molto coeso linguisticamente e tematicamente, tanto che la critica le ha sempre prese in considerazione tutte e tre insieme.  Si nota il tono, il registro molto elevato con cui leopardi imposta la sua voce poetica, nel senso che a parlare non sembra un dicianovenne inesperto,ma un personaggio non solo coltissimo, ma addirittura di levatura eroica, che sembra recitare da un piedistallo, dall’alto di un palcoscenico tragico. Questo registro elevato è intenzionale perché fa parte de suo gusto per il travestimento eroico ed erudito, come se leopardi trasformassse l’energia assorbita dai classici in un energia che gli serve a rompere quel cerchio ristretto in cui è costretto a vivere, come se questo fosse l’unico suo modo per farsi conoscere, per aprirsi al mondo. Quindi si vede in queste prime canzoni un giovane che accredita, che vuole intenzionalmente accreditare un’immagine di virilità forte, adulta ma anche disperata. Influenza derivano dalla lettura del teatro di Alfieri e soprattutto dai romanzi moderni che mettono in scena giovani in rivolta contro il mondo (Renè di Chateau Brian). Anche la lingua,lo stile, i giri sintattici, il lessico sono modellati sui classici, soprattutto una risorsa retorica si segnala in questi primi tre testi, che è quella di rapidi passaggio logici da una stanza all’altra e che vengono legate da passaggi sintattici fulminei e alcune volte poco motivati, che però rendono una forza icastica e rappresentativa molto forte ed incisa. Un altro elemento che unisce queste tre canzoni, è che per condurre questo suo monologo Leopardi ha bisogno sempre regolarmente di avere davanti a se un interlocutore, un destinatario immaginario (ma esplicitato), ma comunque di statura elevata; questo interlocutore può essere Dante, la patria, può essere il grande erudito bergamasco Angelo Mai, Cosa significa questa scelta e questa organizzazione testuale : significa di fare di ogni poesia un monologo drammatico recitato davanti ad un interlocutore muto, chiamato di continuo, sollecitato di continuo a rispondere, a colloquiale. Questa forma di dialogo drammatico si chiama “prosopopea” (di derivazione classica- questo è il codice retorico di riferimento per leopardi); va detto che comunque anche questa risorsa diventerà costante anche in altre canzoni; anzi addirittura vedremo che nei Canti abbiamo una piccola galleria di interlocutori animati ed inanimati, reali ed immaginati e che vengono coinvolti progressivamente in questi monologhi lirici che quindi diventano potenziali dialoghi drammatici. In queste canzoni leopardi si rivolge in maniera diretta e schietta (si rivolge addirittura a Tasso ed Alfieri, poi ad interlocutori meno prestigiosi ma importanti epr la sua poetica come la luna, la ginestra, silvia ecc). D’altronde quasi tutti i componimenti prenderanno come nome il nome dell’interlocutore ideale che si è scelto il poeta. Questo permette a Leopardi di riportare entro la lirica elementi dialogici e tragici, elementi tipici dell’epica classica e della produzione teatrale drammatica. Porta dentro le poesie elementi caratteristici di altri generi (la sua idea è costruire il romanzo lirico moderno dell’io). Nella canzone per Angelo Mai si mette in confronto diretto con questi interlocutori e assume quell’atteggiamento che è stato definito di “volontà aginistica” di confronto, di onnipotenza eroica (ciò che serva a leopardi per incrementare il suo ruolo di intellettuale impegnato nel suo tempo). Un elemento comunque dal punto di vista tematico è sostanzialmente l’idea della “decadenza del presente”, decadenza dei comportamenti contemporanei rispetto alla civiltà antica. Nella canzone Italia nei versi 9 e 17 è palese la decadenza, l’Italia incatenata e inginocchiata, sconsolata, che nasconde la faccia tra le ginocchia. Anche nella Canzone sopra il monumento di Dante nei versi 120-123 (patria schiava ecc) si coglie la decadenza del mondo moderno. Si ha una mancanza di virtù e di ideali nei suoi contemporanei per Leopardi, mancanza di ideali rispetto ai quali leopardi dice di voler intervenire a rischio della vita stessa magari affrontando anche la morte. Non è un caso che tra i temi più ricorrenti in queste canzoni noi troviamo evocata la “morte” ed i suoi sinonimi (la tomba, il sepolcro, che in termini foscoliani ha un valore di memoria di ricordo e di esempio per il futuro).  Certo il presente impedisce di conquistare la virtù a causa della decadenza, e quindi il poeta può offrire semplicemente come esempio di morte gloriosa la morte di se stesso << io solo combatterò, proromperò (significa cadere avanti, mentre ci si slancia verso il nemico) sol io>> (All’Italia). Altra risorsa che si concede è quella di esortare i contemporanei rammolliti (<<il guastolegnaggio di oggi>>)   di andarsene dalla patria se non riescono a riconoscere la gloria passata. In leopardi quindi c’è una forma di “eroismo” che corrisponde alla certezza di aggirarsi attorno a grandi figure della tradizione classica e moderna. Cerca dei punti di riferimento del passato; infatti Luigi ha indicato il “doppio aspetto” (o aspetto binario” delle prime canzoni: da un lato le grandi rievocazioni storiche e dall’altro c’è un impeto sentimentale che accompagnano queste rievocazioni; e qui sale alla ribalta un io leopardiano che descrive, interpreta, commenta, si fa domande, e ala fine diventa lui il vero protagonista a confronto con la storia passata. Insomma la forma retorica della “domande” e “dell’apostrofe” sono le figure predominanti ed infatti al canzone All’Italia si apre con un’apostrofe ad una nazione mal ridotta e viene a rievocare nell’ultima parte la sorte infelice degli italiani in Russia in relazione agli spartani delle Termopili. Quest’ultimi dice Leopardi <<morendo si sottrasse da morte il santo suolo>> (si ricollega al sacrificio).  

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